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L'apostolo Giuda Taddeo
porta un nome, che in passato fu tanto onorato
quanto è ora esecrando. Si chiamarono
Giuda molti e celebri uomini del Vecchio Testamento;
i due più eminenti sono Giuda, il padre
della tribù di Giuda, uno dei dodici
figli di Giacobbe, e Giuda il Maccabeo. Parecchi
tratti di questi due grandi del popolo eletto
si riflettono anche nell'apostolo Giuda; perché
v'è qualche cosa di misterioso nei nomi,
si potrebbe quasi pensare ch'essi in qualche
modo imprimano negli uomini un idea preconcepita.
Quando nacque Giuda, il figlio di Giacobbe,
sua madre Lia esclamò pia e festante
insieme: "Jehudâh", che vuol
dire "loderò il Signore", per
questo lo chiamò "Juda" (1);
sebbene egli non fosse il più anziano
dei figli di Giacobbe, ebbe però un posto
di direzione fra i suoi fratelli, grazie al
suo carattere deciso e fermo. Nella vicenda
di suo fratello, l'egiziano Giuseppe, egli appare
una lodevole eccezione: si oppose alle brame
degli altri e propose il male minore: invece
del fratricidio, la vendita del fratello ai
mercanti madianiti per venti denari (2).
Combinazione curiosa! Un altro Giuda, con peggiori
intenzioni, richiese trenta denari in una vendita
più detestabile. Il patriarca Giacobbe,
morendo, designò il suo figlio Giuda
quale antenato del Messia con la seguente lode
e benedizione: "A te, Giuda, dicono lode
i tuoi fratelli. La tua mano pesa sulla cervice
dei tuoi nemici. Innanzi a te si piegano i figli
di tuo padre. Un leoncello è Giuda. Chi
osa stuzzicarlo? Non recederà da Giuda
lo scettro, dai suoi piedi il bastone del dominatore
finché venga colui, cui essa appartiene
e cui i popoli obbediscono" (3).
L'accenno alla potenza e al valore sembra una
profezia anche per l'apostolo Giuda Taddeo,
perché colgano nel centro del sua essere.
Vigoroso, figura di primo piano è anche
l'altro grande Giuda del Vecchio Testamento,
il terzo figlio di Matatia; egli fu chiamato
il "martellatore", da Maqab (4),
perché si distinse con le sue gesta eroiche,
compiute nella guerra giudaica per la libertà
nel secolo secondo prima di Cristo; di molto
inferiore per truppe e armamento, egli riuscì
a trionfare, con gloriose battaglie, sui grandi
eserciti dell'empio re Antioco IV, ch'erano
guidati dai generali Nicanore, Gorgia, Timoteo,
Bacchide e Lisania; gli riuscì ad espugnare
la città santa di Gerusalemme, superando
le forze d'occupazione nemiche e pagane, e nel
Tempio purificato e riconsacrato furono offerti
nuovamente al Dio di Israele i sacrifici prescritti
dalla Legge (5).
Gli eroismi di questo Giuda sopravvivevano nel
ricordo di tutti; Giuda Taddeo ascoltava con
occhi scintillanti il racconto, che gliene facevano
in casa il padre e il nonno; molti sabati si
parlava con entusiasmo di quell'eroe della religione
e della patria, che in una epoca dura aveva
indicata la via col suo fulgido esempio. Il
nostro Giuda quindi andava orgoglioso del suo
nome, che uomini tanto valorosi avevano portato;
egli lì imiterà; anch'egli vuol
divenire nel proprio tempo "leoncello"
e "martellatore".
Purtroppo questo nome ardito e nobile fu così
infelicemente macchiato da un altro Giuda, dal
Traditore, che non si riuscirà a purificarlo
mai più; l'ignominioso gesto di costui
è penetrato corrosivo in questo nome,
è divenuto anzi con esso una unica cosa;
per noi di fatto "Giuda", equivale
a "traditore " e non più a
"loderò il Signore", come aveva
esclamato Lia, la mamma buona e cisposa. Non
vi sarà individuo cristiano che porti
il nome "Giuda", non si vuole anzi
nemmeno ripeterlo; perché si danno nomi,
che sono - anche oggi! - così esecrati,
che non si possono affatto ripetere. Tutti e
due i Giuda, il Taddeo e il Traditore, sedettero
in qualità di Apostoli intorno al Signore,
anzi nel catalogo degli Apostoli di Luca essi
sono l'uno accanto all'altro. Quando il Signore
chiamava "Giuda", tutti e due tendevano
l'orecchio; forse era solo un leggero tono della
voce che li distingueva; il Venerdì Santo,
quando come un baleno s'era diffusa la notizia
inaudita che Giuda aveva tradito il Maestro
e poi s'era impiccato, parecchi pensarono che
quel delinquente fosse Giuda Taddeo; il Traditore
aveva gettato il disonore anche sul nome del
buon Giuda. Quasi in riparazione di questo oltraggio,
il popolo cattolico onora d'una singolare fiducia
il Santo omonimo dell'infelice Traditore sin
dal secolo decimottavo e con un tale sentimento
umano e credente insieme, che commuove: Giuda
Taddeo è divenuto per esso il protettore
nelle "richieste gravi e disperate".
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Giuda,
il fratello
L'imbarazzo di fronte al nome "Giuda",
carico di colpa e di dolore, appare evidente
anche nei vangeli. Giovanni scrive in un unico
testo di Giuda Taddeo, ma s'affretta ad aggiungere
subito: "Giuda, non Iscariote!" (6);
ci colpisce ancor di più che Matteo e
Marco non designano mai il nostro Apostolo col
nome "Giuda", ma solamente col soprannome
"Taddeo" (7);
possiamo a buon diritto ritenere che essi sostituirono
il nome proprio con questo soprannome per allontanare
dal loro buon compagno nel Collegio apostolico
l'ombra, che vi proiettava il nome "Giuda".
Soltanto Luca osò chiamare quest'Apostolo
col suo proprio nome, ma non senza elevare una
luce sull'oscurità di esso; egli lo chiama
"Judas Jacobi" Giuda, quello di Giacomo
(8); l'espressione
sulle prime fa pensare che Giuda fosse il figlio
d'un Giacomo, e non mancano traduzioni cattoliche
della Bibbia, che rendono il passo con questo
senso; essa però può anche significare
"Giuda, il fratello di Giacomo" (*);
la Sacra Scrittura stessa accenna questo secondo
senso di "fratello". Nel Vangelo infatti
un Giacomo è chiamato esplicitamente
fratello d'un Giuda e un Giuda, nella sua lettera,
si dice fratello di Giacomo (9).
Questo Giacomo, che Luca nei suoi cataloghi
degli Apostoli fa che risplenda su Giuda, doveva
essere una personalità conosciuta e tenuta
in alta stima dai cristiani; ma non si può
pensare che fosse Giacomo Maggiore, ch'era morto
già da vent'anni ed è sempre ricordato
come fratello di Giovanni solo e mai come fratello
d'un Giuda; Giuda quindi è fratello di
Giacomo Minore, del vescovo di Gerusalemme;
si comprende che gli evangelisti Matteo e Marco,
nei loro cataloghi degli Apostoli, collochino
i due l'uno accanto all'altro immediatamente.
Invece, nei riguardi di questa parentela, non
è ancora risolta la questione se Giacomo
fosse un fratello in senso stretto di Giuda
o soltanto un fratello in senso di cugino (10).
Ma comunque questo celebre Giacomo illumina
il fosco nome di Giuda.
Sul nostro buon Giuda però, ch'ebbe l'infausta
sorte di dover condividere il nome col Traditore,
piove una luce ancor più abbondante:
egli non è solo "fratello"
dello stimatissimo Giacomo, ma è anche
"fratello" del Signore. I Nazzareni
domandano di Gesù: "Non è
costui il falegname... il fratello di Giacomo...
e di Giuda?" (11).
Ci colpisce e ci piace ripensare che quest'Apostolo,
nei giorni allegri della sua giovinezza, abbia
giocato e pregato insieme col giovane Gesù,
che con Lui abbia corso e girato sin lassù
a Gerusalemme, in occasione delle grandi feste;
è anche possibile che Maria, angosciata
nella ricerca del suo Dodicenne, si sia rivolta
anzitutto ai giovani cugini di Lui, Giuda e
Giacomo, e abbia loro chiesto quando e dove
essi erano stati insieme col suo amato Gesù
per l'ultima volta. Come Giacomo, anche quest'Apostolo
ebbe con Gesù rapporti umanamente molto
intimi ed egli pure raggiunse un pò alla
volta la debita distanza; nella sua lettera
di fatto egli si chiama "fratello di Giacomo",
ma con religiosa riverenza non "fratello",
bensì "servo di Gesù Cristo".
(*) Questo genitivo
è tanto equivoco; noi possiamo determinare
in quale senso due nomi propri, legati con un
genitivo, debbano intendersi soltanto ricorrendo
al contesto del discorso o anche alle circostanze
oggettive, che si suppongono conosciute.
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Giuda,
il contadino
Giuda Taddeo, prima della sua vocazione, era
sposato (12);
anzi, secondo una notizia, che leggiamo in Niceforo
Callisto e che Eusebio cita nella sua "Storia
Ecclesiastica", sarebbe stato lo sposo
delle nozze di Cana. Questa deposizione e certo
discutibile; essa però spiegherebbe molto
bene la presenza di Gesù e di sua Madre
a quelle nozze; essi vollero rendere a un cugino
l'alto onore della loro partecipazione. Dei
due nipoti di Giuda, di nome Zoker e Giacomo,
che l'imperatore Domiziano citò a Roma
per sottoporli a interrogatorio, abbiamo scritto
trattando di Giacomo (13);
essi vivevano nella Palestina quali semplici
coloni e quale reddito del loro esiguo podere
denunciarono all'imperatore mille denari. Forse
anche il loro nonno Giuda s'era affaticato sulle
medesime zolle, che lavoravano essi; la sua
lettera, come quella di suo fratello Giacomo,
è lettera d'un contadino, forte, quasi
rude, non delicata e profumata, con similitudini
tolte dalla vita dei campi. Egli paragona i
maestri di errore ai pastori, "che pascono
se stessi", con "le nubi senz'acqua,
che son trasportate qua e là dal vento",
con "gli alberi nel tardo autunno, senza
frutti, morti due volte, divelti" (14).
14 Hophan, Gli Apostoli.
Giuda contadino! Prima di spargere la semente
della parola di Dio nel vasto mondo come apostolo,
seminò come contadino orzo e grano nel
fondo della sua terra, inciso dall'aratro. Come
dovette quindi comprendere bene le parabole
del Signore! Quella, per esempio, del seminatore,
cui nel seminare il grano cadde parte sulla
via, parte su fondo sassoso e parte fra le spine;
quella della semente, che di giorno e di notte
cresce da sè e l'agricoltore non sa come;
e quella della zizzania, che germoglia col grano
e al tempo della raccolta viene legata in fastelli
per essere bruciata (15).
Tutto questo il Signore l'aveva potuto osservare
nei campi dei suoi cugini. In novembre, caduti
i primi acquazzoni della pioggia temporanea,
Giuda attaccava bue e asino per rivoltare il
terreno, nel quale poi seminava orzo e grano;
in febbraio badava alle viti, recideva i germogli
selvatici e mondava i tralci buoni perché
portassero frutto ancor più abbondante
(16); alla
fine di marzo sospirava ardentemente la pioggia
serotina, che consentiva al grano di spigare;
nella primavera, bella come un paradiso ma breve,
coltivava l'orto a cocomeri, cetrioli, fagioli,
lenticchie, cipolle e aglio, anice, menta e
comino; sin dalla fine di maggio cominciava
a trebbiare il grano e lo ventilava con grandi
pale al vento della sera; terminata la messe
dei cereali, seguiva la tosatura delle pecore;
sul finire d'agosto si portava nel vigneto a
vendemmiare; in settembre maturavano i fichi
e infine le olive, l'ultimo frutto, che venivano
pigiate nei torchi come i grappoli d'uva. Così
ogni giorno aveva la sua fatica e la sua pena.
Giuda non se ne arricchì. I suoi nipoti
Zoker e Giacomo, nell'interrogatorio subìto
dinanzi a Domiziano, confessarono candidamente
che i mille denari, che la loro domestica sostanza
fruttava, erano esauriti per sostentare la vita
e pagare le tasse. Le tasse infatti erano gravose;
vi furono periodi, nei quali il contadino doveva
consegnare un terzo della sua raccolta di cereali
e persino metà dell'olio e del vino;
Erode Antipa, al cui servizio era stato Matteo,
il compagno d'apostolato di Giuda, dalla sua
tetrarchia, che non era poi grande, ricavava
ogni anno, come gettito delle tasse, due milioni
di franchi, e cioè cinque volte tanto
secondo il valore del denaro oggi. Ai Romani
dovevano essere pagati la tassa fondiaria e
il testatico; dieci anni prima che Gesù
desse inizio alla sua vita pubblica, una legazione
del Giudei si portò a Roma per sollecitare
un alleggerimento delle imposte, chè
il buon popolo era oppresso ab immemorabili
e solo perché alcuni pochi grandi potessero
crapulare e millantarsi; le sontuose costruzioni
dell'ambiziosa famiglia degli Erodi ingoiavano
somme, che furono pagate col sangue dei poveri.
Quando il Signore scagliò contro i ricchi
i suoi "Guai a voi!", il semplice
Giuda dovette fargli intendere, con un significativo
cenno del capo, tutto il suo consenso (16).
Nonostante però il lavoro e la povertà,
Giuda visse contento e beato, chino sulle zolle
della sua patria; pellegrinava, come d'obbligo,
a Gerusalemme per le tre feste di Pasqua, di
Pentecoste e dei Tabernacoli, ma poi se ne tornava
di nuovo contento al suo villaggio in Galilea;
forse era Cana, se non era la stessa Nazareth;
lassù, nella Città Santa, si faceva
con strepito e poi quel mercato profano... è
il mondo si dilettava di teatri, di progetti
per le corse, di piazze per lo sport e per tutta
la sua concupiscenza degli occhi, per la concupiscenza
della carne e la superbia della vita. Che Iddio
non permetta mai ch'egli debba portarsi in mezzo
a quel cattivo mondo! Egli vuol vivere e morire
laggiù, nella sua terra e in seno alla
sua famiglia; quivi fioriscono i suoi campi
e la sua donna e giocano i suoi figli. E invece
era ormai vicino il giorno, in cui avrebbe preso
congedo dalla sua famiglia, avrebbe abbandonata
la patria e avrebbe scelto in compenso l'essere
senza patria, come chi vaga per le strade, e
se ne sarebbe andato in tutto il mondo. Un sacrificio
eroico per un contadino! E Giuda fu tanto generoso
per sostenerlo; egli rispose il suo "Adsum!",
quando il Signore, volendone fare un messaggero
del suo regno, lo chiamò via dalla sposa
e dai figli e dai campi.
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Giuda,
il coraggioso
Sulle prime si direbbe che la Sacra Scrittura
non ci fornisce intorno al nostro Apostolo nessuna
notizia; e infatti, se si eccettui una breve
espressione nel vangelo di Giovanni, né
gli altri Evangelisti né gli Atti degli
Apostoli ci ricordano di lui più del
suo nome. Ma precisamente questo nome è
significativo e ricco di luce; perché
Matteo e Marco aggiungono a Giuda un soprannome,
ch'egli non dovette ricevere, come ad esempio
Pietro e i Boanerges, solo al momento della
chiamata del Signore; l'opinione pubblica, è
evidente, glielo aveva accordato in precedenza.
Giuda è chiamato "Taddeo" o,
secondo parecchi manoscritti antichi, "Lebbeo";
ma Taddeo e Lebbeo significano in realtà
la stessa cosa; Taddeo, dall'aramaico "thad"
che significa petto, e Lebbeo da "leb"
che significa cuore, significano l'intrepido,
l'impavido, l'ardito; in certi testi del Vangelo
si leggono tutti e tre i nomi: Giuda Taddeo
Lebbeo, tanto che già Girolamo chiamava
quest'Apostolo "trinomico", quello
dai tre nomi. (18)
Questo soprannome doveva distinguere anzitutto
il buon Giuda dal Giuda traditore; esso però
voleva pure esprimere la natura propria di questo
Apostolo, perché non senza un motivo
doveva toccargli d'essere designato col nome
onorifico di "Taddeo", l'audace. L'audacia,
che confina con la temerarietà, era certamente
una caratteristica comune ai Galilei; un filosofo
romano era ammirato del loro coraggio; per difendere
la loro fede sfidavano persino i tiranni; un
vecchio proverbio diceva che per i Giudei il
denaro la vinceva sull'onore, ma per i Galilei
l'onore andava sopra il denaro. E questo proverbio
getta luce sui due Giuda del Collegio apostolico,
sì che ne possiamo scorgere più
chiaramente la profonda differenza: Giuda il
traditore, che proveniva dalla Giudea, riservato
e calcolatore già per la sua origine,
metteva il denaro al di sopra degli ideali;
Giuda invece l'audace stimava la fedeltà
e l'onore più dei denari. Tutto questo
è vero; nondimeno Taddeo dovette essere
di un'arditezza, che faceva stupire gli stessi
Galilei, se lo chiamarono semplicemente "l'ardito";
e come tale egli è entrato anche nei
cataloghi degli Apostoli.
E ch'egli fosse quale il nome lo diceva, un
tipo cioè energico, coraggioso, robusto
da fare onore ai suoi patroni, Giuda capostipite
della tribù e Giuda Maccabeo, lo dimostra
in tutti i secoli la sua lettera. Nel battistero
di Ravenna si conserva un'immagine in mosaico
del quinto secolo, che traduce felicemente quello,
che la prima età cristiana pensava di
quest'Apostolo: egli ha un volto allungato,
teso, tendineo, che rivela energia e decisione.
Chissà come avranno lampeggiato gli occhi
di Taddeo, quando il Signore parlava a lui e
ai compagni di coraggio e di forza! "Non
abbiate paura di loro. Quello che Io dico nelle
tenebre, voi annunziatelo nella luce! Quello
ch'io vi ho sussurrato nell'orecchio, predicatelo
sui tetti! Non temete coloro, che possono ben
uccidere il corpo, non però l'anima!
Neppure crediate che Io sia venuto a portare
pace sulla terra! Non sono venuto a portare
la pace, ma la spada. Chi cerca di guadagnare
la sua vita, la perderà; chi invece perde
la sua vita per amor mio, la guadagnerà"
(19).
Basta quest'unico Apostolo, Giuda Taddeo, per
rovesciare dalla base tutte le denigrazioni
contro il Cristianesimo, quasi sia un affare
per indoli frolle e leziose o per individui
inabili alla vita e indegni di essa. Cristo
chiamò a far parte della sua ridottissima
compagnia un uomo, ch'era senz'altro proverbiale
per il suo ardire. E Taddeo non era l'unico
di questa tempra; Gesù stesso designò
Giacomo e Giovanni col titolo "Boanerges",
figli del tuono, e d'un Simone fece la roccia;
l'altro Simone era uno Zelote; tutti poi erano
uomini completi e sicuri, che offrirono e compirono
cose sovrumane. Cristo esige nature forti; si
noti però quello che è ancor di
più: Egli può educare alla fortezza
anche le nature deboli; il forte è richiesto
da Cristo, il debole ne è attratto; poiché
la virtù di Cristo è tanto esimia,
che in essa si perfeziona il forte e il debole.
I Libri Sacri non ci forniscono nessuna spiegazione
in ordine al come Taddeo abbia meritato il suo
nome glorioso, quali fossero le gesta eroiche
compiute, quali difficoltà sfidasse con
cuore ardito, a quali tempeste e pericoli esponesse
il petto e la fronte; si inclina a ritenere
che egli si sia procurato il titolo "l'audace"
nel "movimento di resistenza" della
sua terra. Al tempo infatti di Gesù la
Galilea era febbricitante per le agitazioni
politiche; sopportava il giogo della brutale
forza d'occupazione romana digrignando i denti;
dei fanatici giudei, gli "Zeloti",
i "Maquis" partigiani di quel tempo,
accaniti e santamente sdegnati, cercavano di
aiutarsi nell'impresa con la violenza; molestavano
i Romani dove potevano e facevano le loro vendette
sui rinnegati e traditori in seno al popolo
proprio; valendosi di corpi volontari, conducevano
una guerriglia continuata; erano in ogni luogo
e in nessun luogo, e quindi difficilmente potevano
venire assaliti. Simone, ch'era probabilmente
un fratello di Giuda Taddeo, uno dei dodici
Apostoli, porta espressamente il soprannome
"lo Zelote". È permesso pensare
che anche Giuda prendesse parte a quel movimento
patriottico e si sia guadagnato l'appellativo
"Taddeo", l'ardito, con non pochi
colpi di mano audaci, che gli sarebbero costati
la vita, qualora fosse stato acciuffato; anch'egli
del resto porta spesso, specialmente negli autori
latini, la designazione propria del partito:
"lo Zelote"; è vero che può
trattarsi d'uno scambio con Simone, sarebbe
però uno scambio, che non manca di qualche
motivo intrinseco.
Non ci sfugge certo il grande rischio corso
da Gesù, chiamando nella cerchia dei
suoi Dodici simili individui, che, come un Giuda
Taddeo e un Simone Zelote, erano carichi di
dinamite; ma Egli per l'erezione del suo regno
sulla terra abbisogna anche di caratteri tali,
si direbbe anzi proprio di questi, eroi arditi,
santi avventurieri, che sappiano maneggiare
la spada per Iddio. Taddeo e Simone avevano
certamente, riguardo al futuro regno messianico,
delle concezioni false, come tutti gli Apostoli
e anche più degli altri loro due; per
loro il Messia era l'attesissimo liberatore
del popolo oppresso, il glorioso trionfatore
del dominio straniero dei Romani; ma il Signore
non respinse i suoi discepoli perché
avevano la testa piena di queste fantasie e
speranze inesatte e contaminate, procurò
invece di nobilitarli; e questa tattica del
Signore ci è indicata chiaramente dall'unico
passo, in cui nel Vangelo si fa parola di Giuda
e a Giuda. Il testo ricorre nel discorso di
congedo, tenuto da Gesù nel Cenacolo
la sera del Giovedì Santo; nello strazio
della separazione, Egli fece dono ai suoi Discepoli
anche della consolazione d'una misteriosa e
permanente unità con Lui: "Non vi
lascio orfani; Io vengo a voi. Ancor poco tempo
e il mondo non Mi vede più; voi però
Mi vedete, perché Io vivo e anche voi
vivrete..." (20).
Il mondo... voi! L'onda del dire del Signore
mormorava ormai più
avanti, ma Giuda Taddeo restò a pensare
a quelle parole e dopo alcuni versetti troncò
in bocca al Maestro le preziose sentenze, proponendogli
la questione che non sapeva sciogliere: "Signore,
che è avvenuto che Ti manifesterai a
noi e non al mondo?" (21).
È l'unica parola che ascoltiamo da Giuda
Taddeo, il Vangelo non ce ne ha conservate altre;
ma essa guizza dall'intimo del suo essere e
illumina per un istante quest'Apostolo, quasi
sconosciuto. Giuda è entusiasta di Cristo;
egli desidera e vuole con passione le sue "manifestazioni";
per lui quindi è un enigma tormentoso,
anzi un'amara delusione che il Signore voglia
manifestarsi soltanto al ristretto gruppo dei
Dodici - "solo a noi!" -, e non anche
alle moltitudini - "al mondo" -. Così
cinque giorni prima, la domenica delle Palme,
egli aveva trovato incomprensibile e inaudito
che Gesù avesse fatto sì il solenne
ingresso, ma non avesse poi preso possesso della
Città; precisamente lui, Giuda del Nuovo
Testamento, si struggeva dal desiderio che "la
sua mano pesasse sulla cervice dei nemici",
come il patriarca Giacobbe aveva profetizzato
di Giuda, padre della tribù, e potesse
ripulire la Città Santa dal nemico pagano,
come un tempo Giuda Maccabeo, per restituirla
al Dio di Israele e al suo inviato. "Perché
non Ti manifesti anche al mondo?". Questa
domanda, dettata dall'ardore impaziente, si
connetteva, e sino a fondersi in una sola, con
quella richiesta che i fratelli di Gesù,
scontenti, Gli avevano presentata già
prima della festa dei Tabernacoli; e il nostro
Giuda Taddeo era appunto uno di quelli. "Va
via di qui (da quest'angolo sperduto della Galilea)
e portati in Giudea, affinché anche i
tuoi discepoli veggano le opere, che Tu compi.
Nessuno infatti, che voglia essere riconosciuto
pubblicamente, opera di nascosto. Se Tu puoi
fare tali cose, mostraTi apertamente al mondo!"
(22). Che
quindi Gesù non voglia manifestare la
sua dignità, annientare i suoi nemici
ed erigere il suo regno con potenza e splendore
cozza contro tutte le idee dell'audace Giuda.
"Perché solo a noi? perché
non al mondo?". Ecco la domanda, l'unica
di Giuda Taddeo.
Il seguito del discorso di Gesù non sembra
riferirsi affatto alla sua meschina obiezione,
perché "Gesù gli replicò:
"Se uno Mi ama, osserva la mia - parola,
e mio Padre lo amerà, e verremo a lui
e metteremo dimora presso di lui. Chi non Mi
ama, non osserva neppure le mie parole""
(23). E nondimeno nelle profondità di
questa risposta c'era la soluzione del problema,
che tormentava Taddeo: Giuda, l'intrepido, chiedeva
le manifestazioni della potenza e della gloria
di Gesù; Gesù promette le manifestazioni
del Padre e del Figlio nelle profondità
delle anime; ma l'intima esperienza di Dio e
l'unità con Lui è riservata esclusivamente
agli amanti; il mondo quindi, che non ama, non
può neppure godere di queste manifestazioni.
"V'è dunque una certa rivelazione
interiore di Dio, che gli empi non conoscono
affatto, perché non hanno parte alla
rivelazione del Padre e dello Spirito Santo.
Fu loro possibile avere la rivelazione del Figlio,
ma solo quella nella carne, la quale né
è della natura di quella, né può
rimanere sempre con loro, qualunque sia in realtà,
ma solo per breve tempo e a dir vero per il
giudizio e non per la gioia, per il castigo
e non per il premio" (4).
Queste sublimi parole segnano la strada che
lo stesso Taddeo dovrà seguire in avvenire.
Egli è un apostolo intrepido; e il Signore
non scorcia l'eroe, nessuno anzi meno del Signore
lo mutila, invece lo eleva e nobilita; Taddeo
deve restare audace e operare cose audaci; non
però con colpi arditi per un regno del
mondo, bensì impegnando il suo ardimento
per il regno di Dio nel mondo; compito degno
del suo cuore generoso non è la politica,
ma l'avvento del Padre e del Figlio e della
carità dello Spirito nelle anime degli
uomini.
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La
lettera di Giuda
Fra i Libri Sacri del Nuovo Testamento troviamo
una lettera, che ha per autore un Giuda e che
fin dai primi tempi fu attribuita all'apostolo
Giuda. E per buone ragioni. La lettera infatti
è audace e forte, come solo un "Taddeo",
un ardito, poteva scrivere. È un breve
brano di appena 25 versetti; già Origene,
lodandola, scriveva: "Giuda scrisse una
lettera breve, ma ricca di parole di celeste
sapienza" (35);
è indirizzata "ai chiamati, che
sono diletti in Dio Padre e per Gesù
Cristo conservati" (26);
Da essa veniamo a conoscere anche i suoi destinatari,
ch'erano i giudeocristiani della Palestina e
della Siria, poiché le poche righe rigurgitano
di prove e di allusioni dal Vecchio Testamento
e adducono anche dei libri extra-biblici, scritti
per edificazione dei lettori, che erano noti
ai Giudei, quali "il libro di Henok"
e "L'Assunzione di Mosè". Nella
lettera leggiamo pure il motivo, che indusse
Giuda a scriverla: "Si sono intrusi degli
individui, che da lungo tempo sono segnati per
la condanna, empi, che cambiano la grazia del
nostro Dio in lussuria e negano l'unico nostro
dominatore e Signore Gesù Cristo"
(27).
Questi maestri d'errore, che erano certamente
i così detti "Nicolaiti", travisando
la cristiana libertà, che affrancava
dalla legge dell'Antico Testamento, richiesta
da Paolo e da tutti gli Apostoli decisa, respingevano
totalmente ogni legame di coscienza e predicavano
che il nuovo e vero "vangelo" era
il vivere sbrigliato degli istinti. Già
Paolo s'era acremente avventato contro quella
genia, "il dio della quale è il
ventre e la gloria è l'obbrobrio"
(28); anche
Pietro, nella sua seconda lettera, scagliò
il suo supremo anatema contro quella sfrenatezza
morale, che voleva camuffare impudentemente
i suoi vizi, valendosi ipocritamente del motto
tanto efficace, proprio della "cristiana
libertà": "Per i puri tutto
è puro!". Nella sua lettera Pietro
si servì molto dello scritto di Giuda;
confrontando anche solo il secondo capitolo,
ad esempio, con la lettera di quest'ultimo,
si ha l'impressione quasi di una rielaborazione
della lettera allo scopo di migliorarla e anche
di mitigarla un pò. Il fatto che Pietro
abbia quasi inserito semplicemente, così
com'era, la lettera del collega nel proprio
scritto attesta la stima che aveva di lui.
Essa dovette essere scritta fra l'anno 62, primo
anno dalla morte di Giacomo Minore, e l'anno
67, epoca di composizione della seconda lettera
di Pietro. Possiamo di qui dedurre che per tutto
il tempo, in cui Giacomo resse la Chiesa di
Palestina, questa non fu toccata da false dottrine,
come del resto sappiamo da una testimonianza
di Egesippo (29).
L'inizio della lettera di Giuda si può
dire un nutrito squillo di tromba, che annuncia
il tema: "Lottate per la fede, che una
volta per tutte fu trasmessa ai Santi!"
(30).L'intera
lettera poi è un severissimo monito contro
i maestri dell'eresia, cui vengono comminati
i giudizi di Dio con riferimento a esempi dell'Antico
Testamento. Impressiona la lingua usata; è
realmente ardita, energica, cruda quasi, richiama
il grido infuocato e irato dei Profeti dell'Antico
Patto: "Questi sognatori (gli eretici)
contaminano la carne, disprezzano l'autorità
e bestemmiano gli insigniti della maestà...
Bestemmiano tutto quello che non comprendono;
ma trovano la loro rovina in tutto quello, che,
come animali irragionevoli - Giuda, il contadino!
-, intendono per naturale istinto. Guai a loro!
Son macchie d'ignominia, che nelle vostre agapi
gozzovigliano impudici e ingrassano se stessi;
furiosi flutti marini, che spumano la loro turpitudine;
stelle erranti, cui è riservata in eterno
l'oscurità delle tenebre; mormoratori
che lamentano la loro sorte e in aggiunta però
soddisfano le loro passioni" (3).
Questa lingua ci rivela il nostro "Taddeo",
l'audace; non è un uomo senile, un tipo
avveduto sette volte, un cappellano di corte;
pesta anche sul gregge del Signore col suo pesante
passo di contadino e mette le cose a posto.
Non gli interessa di essere amato od onorato,
ma "mi sta molto a cuore di scrivere a
voi intorno alla comune nostra salvezza"
(32); dove
questa salvezza è in pericolo, egli mette
la sua mano energica, taglia sui vivo imperterrito,
predica senza paura e senza timidi riguardi
quello che lo Spirito di Dio gli comanda, riesca
opportuno o importuno. Ma appunto in questo
procedere appare pure che l'arditezza dell'apostolo
Giuda è un'altra, è spiritualizzata:
l'insegnamento del Signore nel Cenacolo aveva
fruttato.
Egli non si accinge a scrivere la sua lettera,
stimolato da un bisogno naturale di lottare
e di litigare; essa non è un'esplosione
di temperamento violento; nell'introduzione
vi leggiamo persino una scusa: "Mi vedo
necessitato ad ammonirvi con uno scritto"
(33); non
gli sta a cuore la lotta, ma "la comune
salvezza", per assicurare la quale non
paventa certo neppure la lotta. Dopo aver respinto
i maestri della falsità con espressioni
pungenti e decisive, aggiunge i suoi mirabili
avvisi sul modo di condursi praticamente con
loro, perché anche la loro salvezza sta
a cuore al nostro ardito. "Mettete sulla
buona via quelli, che ancora vacillano! Altri
salvate, strappandoli dal fuoco; dei terzi abbiate
compassione con... timore! Guardatevi però
persino dalla veste, che sia macchiata di carne!
" (34).
La lettera di Giuda, tanto vecchia per il nostro
tempo, ha nondimeno una particolare importanza,
perché il culto della carne è
stato nuovamente eretto a sistema di falsa dottrina;
essa potrebbe servire di spunto scritturistico
per molte prediche contro gli abusi morali dell'epoca
nostra.
La finale della lettera sembra volerci trasportare
d'improvviso dalla severa predica, potremmo
dire, "da spiaggia balneare" in un
coro di monaci benedettini, ove si eleva solenne
il canto del "Gloria Patri". La meravigliosa
dossologia finale è l'eco riconoscente
delle parole, che il Signore un giorno aveva
detto nel Cenacolo al suo audace apostolo Giuda
circa la venuta del Padre e del Figlio nell'anima
di chi è in grazia: "A Lui, che
può preservarvi dalla caduta e presentarvi
senza macchia e ripieni d'esultanza dinanzi
alla sua gloria, a Lui, all'unico Iddio, nostro
Salvatore, per mezzo di Gesù Cristo nostro
Signore, sia onore e gloria, dominio e potenza
innanzi a tutti i tempi e adesso e per tutta
l'eternità! Amen".
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Giuda,
l'Apostolo
L'attività apostolica di Giuda Taddeo
è velata dall'oscurità, come quella
della maggior parte degli Apostoli, le notizie
anzi intorno alla sua sono tanto più
confuse in quanto i suoi tre nomi hanno dato
occasione a molti scambi; le più sicure
sono ancora le conclusioni, che possiamo dedurre
dalla sua stessa lettera. Così come a
campo principale della sua missione siamo rinviati
alla Palestina; quivi i due fratelli e contadini
Giacomo Minore e Giuda Taddeo, con la fatica
e nel sudore della fronte, riposero nei granai
di Cristo la messe raccolta fra il loro popolo,
prima che, come temporale ormai imminente, lo
raggiungesse la minacciosa catastrofe della
rovina. S'accorda con la nostra supposizione
una notizia fornitaci da Niceforo, secondo la
quale l'apostolo Giuda Taddeo sarebbe stato
missionario della Giudea, Galilea, Samaria e
Idumea. Anche della Galilea! Ivi viveva la sua
buona sposa, ormai attempata, vivevano i suoi
figli, intenti alla coltivazione dei campi,
che un giorno appartenevano a lui, vivevano
pure i suoi nipoti Zoker e il piccolo Giacomo,
i quali, quando il nonno stanco e polveroso
ritornava dai suoi giri apostolici per far loro
qualche rara visita, si stringevano a lui dintorno
e lo accarezzavano; il giorno seguente s'allontanava
di nuovo da quella amata tranquillità
della patria per portarsi in terre lontane,
urgendolo l'amore di Cristo: il sacrificio dell'Apostolo!
Secondo le informazioni, che ci forniscono degli
autori siriaci, l'attività apostolica
di Giuda Taddeo resterebbe trasferita a Edessa,
l'odierna Urfa nella Turchia orientale; infatti
in un Innario armeno - l'anno 90 prima di Cristo
il grande regno degli Armeni si estendeva ancora
giù fino a Edessa - del secolo decimoterzo
gli apostoli Giuda Taddeo e Bartolomeo sono
chiamati "i nostri primi illuminatori".
Un documento ufficiale assai strano dell'archivio
di Edessa, che Eusebio cita nella sua "Storia
Ecclesiastica" (36),
presenta uno scambio di lettere fra Cristo e
il principe Abgar V di Edessa: Abgar prega il
Signore di recarsi da lui in Edessa per guarirlo
dalla sua malattia; Cristo risponde che dal
Padre non ha ricevuto la missione che per Israele,
ma dopo la sua ascensione manderà a Edessa
uno dei suoi discepoli; più tardi dunque,
secondo quanto riferisce Eusebio, l'apostolo
Tommaso avrebbe inviato ad Abgar uno dei 72
discepoli, di nome Taddeo, chiamato anche Addeo;
a questo punto la "Dottrina di Addeo",
uno sviluppo dell'antica leggenda risalente
all'anno 400 circa, inserisce pure la notizia
che il messo inviato ad Abgar dipinse l'immagine
di Cristo. Evidente che la lettera non è
autentica; anche Eusebio ha qui confuso l'apostolo
Taddeo, uno dei Dodici, con Addeo, uno dei 72
discepoli, il fondatore della chiesa di Edessa.
Maggiore probabilità ha un'altra leggenda,
secondo la quale Giuda Taddeo, dopo l'attività
svolta presso i suoi compatrioti, sì
sarebbe portato nelle regioni limitrofe della
Palestina, nell'Arabia, Siria e Mesopotamia;
avrebbe sofferto la morte del martire a Berytus
(Beirut) o ad Aradus in Fenicia, mentre invece
la maggior parte degli autori greci affermano
che Taddeo morì di morte naturale. Uno
scritto del principio forse del quarto secolo,
attribuito a Craton, un preteso alunno degli
Apostoli, risultante di dieci libri, fa che
Taddeo s'incontri col fratello suo Simone in
Persia, insieme al quale evangelizza quel regno
potente; nonostante la continua ostilità
dei due maghi Zaroes e Arfaxat, i successi dei
due Apostoli furono incredibili (*);
nel giro di quindici mesi battezzarono in Babilonia
6o.ooo uomini, senza contare le donne e i fanciulli,
e in tredici anni percorsero le dodici provincie
del impero persiano.
(*) Perché
si abbia un esempio della smania del miracoloso,
che pervade tutte queste leggende, aggiungiamo
il tratto seguente: "I maghi, per vendicarsi,
fecero capitare una moltitudine di serpenti;
il re atterrito fa chiamare gli Apostoli; questi
si presentano, raccolgono i serpenti nei loro
mantelli, li aizzano contro i maghi, ingiungendo
però loro di non ucciderli, bensì
di far loro gustare i morsi dolorosi; i maghi
straziati urlano come lupi, ma non muoiono;
soffrono nuovi tormenti quando i serpenti, dietro
ordine degli Apostoli, succhiano nuovamente
il loro veleno e alla fine li mordono un'altra
volta". Ancora un esempio: "A Babilonia
due tigri feroci, fuggite dalle loro gabbie,
dilaniavano tutto quello, che incontravano per
la via; il popolo corse a rifugiarsi presso
gli Apostoli; i quali scongiurarono le bestie,
e queste li seguirono obbedienti all'abitazione;
da quel giorno in poi, in testimonianza della
verità del Vangelo, le tigri si aggiravano
fra la gente come agnelli e tutte le sere tornavano
alla loro gabbia".
Giunti nella città di Suanir, i due Apostoli
furono richiesti di sacrificare nel tempio del
sole al sole e alla luna, ma essi risposero
che il sole e la luna erano solamente creature
di quel grande Iddio, che essi annunziavano;
cacciarono dagli idoli i demoni, che vi soggiornavano,
e fra ululati e orrende bestemmie se ne scapparono
due figure nere e terrificanti; allora i sacerdoti
e il popolo si precipitarono sui due Apostoli;
Giuda disse a Simone: "Vedo il mio Signore
Gesù Cristo, che ci chiama"; furono
uccisi da una grandine di sassi e a colpi di
mazza, e per questo l'arte mette in mano all'apostolo
Giuda una pesante mazza. Il re Serse avrebbe
fatto trasportare i corpi dei santi Apostoli
nella sua città residenziale, dove avrebbe
edificato una splendida chiesa marmorea in forma
di ottagono e avrebbe composte le salme in una
stanza rivestita di lamine d'oro, entro a un
sarcofago d'argento; la costruzione sarebbe
stata ultimata e consacrata dopo tre anni, il
primo giorno di luglio, nel giorno cioè
della morte degli Apostoli.
Tutto questo lo troviamo nella leggenda latina,
che si richiama all'antico scritto di Craton
ed è penetrata, nelle sue linee essenziali,
come lezione nel Breviario romano per il giorno
della festa in onore dei due Apostoli. Nella
Chiesa occidentale essi vengono festeggiati
nel medesimo giorno, come Filippo e Giacomo,
come Pietro e Paolo, da tempo antichissimo;
il motivo vero, oggettivo della loro festa in
comune può essere la parentela di Simone
e Giuda, accennata dal Vangelo, e la loro attività
e morte insieme, affermata dalla leggenda. Come
giorno per la festa è stato scelto il
28 ottobre, giorno del tardo autunno, che ci
richiama, e richiamandolo ci ammonisce, il grave
testo della lettera di Giuda, che dice "degli
alberi spogli nel tardo autunno" e "delle
nubi, che il vento caccia qua e là ".
La conclusione della vita degli Apostoli lascia
quasi sempre un pò insoddisfatti, perché
sul loro conto, come per un padre che se ne
va, desidereremmo avere notizie più sicure
e più precise. Iddio solo sa quante altre
e grandi cose avrà compiute anche Giuda
Taddeo, l'audace avventuriero di Cristo! Ma
le sue gesta pure stanno dinanzi al Signore
e non sono manifeste al mondo. Si spiega forse
così che il nascondimento apostolico
sia tanto importante? Dopo la parola, che il
Signore rivolse a Giuda Taddeo di "non
manifestarsi al mondo", ma di scorgere
l'essenziale nel fatto che il Padre e il Figlio
e lo Spirito Santo "prendono dimora presso
di noi", quel nascondimento ci è
di monito e conforto insieme.
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Documentazione
(1) Gen. 29, 35.
(2) Gan. 37, 26 ss.
(3) Gen. 49, 8 ss.
(4) I Mac. 2, 4.
(5) I Mac. 4, 36-61; 2 Mac. 10, 1-8.
(6) Giov. 14, 22.
(7) Mt. 10, 3; Mc.3, 18.
(8) Lc. 6, 16.
(9) Mt. 13, 55; Mc. 6, 3; Giuda I.
(10) Mc. 3, 18; Mt. 10, 3.
(11) Mc. 6, 3.
(12) Eusebio, Storia Eccl. III, 20 (MG.
20, 251 s.).
(13) Cfr. pg. 186.
(14) Giuda 12.
(15) Mt. 13; Mc. 4, 26 ss.
(16) Giov. 15, 2.
(17) Lc. 6, 24.
(18) In Ev. Matt. Comm. 1, 10 (ML 26, 63).
(19) Mt. 10, 26 ss.
(20) Giov. 14, 18 ss.
(21) Giov. 14, 22.
(22) Giov. 7, 3 s.
(23) Giov. 14, 23 s.
(24) S. Agostino, In Jo. Ev. Tract. 76,
2 (ML 35, 1831).
(25) In Matt. 10, 17 (MG 13, 877 s.).
(26) Giuda 1.
(27) Giuda 4.
(28) Fil 3, 19.
(29) Eusebio, Storia Eccl. IV, 22 (MG
20, 379 s.).
(30) Giuda 3.
(31) Giuda 10-16.
(32) Giuda 3.
(33) Giuda 3.
(34) Giuda 22 s.
(35) Giuda 24 s.
(36) Storia Eccl. I, 13 (MG 20, 119 ss.).
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