San Giuda Taddeo
Ultimo aggiornamento:
24 Novembre 2024
San Giuda Taddeo

estratto dal libro: "Gli Apostoli" di Otto Hophan
scritto in tedesco e tradotto in italiano dal
Mgv. Gioachino Scattolon del Seminario Vescovile di Treviso.

14 ottobre 1949


 

      Indice

Giuda, il fratello
Giuda, il contadino
Giuda, il coraggioso
La lettera di Giuda
Giuda, l'Apostolo
Documentazione

Ulteriori approfondimenti sulla vita di San Giuda Taddeo

L'apostolo Giuda Taddeo porta un nome, che in passato fu tanto onorato quanto è ora esecrando. Si chiamarono Giuda molti e celebri uomini del Vecchio Testamento; i due più eminenti sono Giuda, il padre della tribù di Giuda, uno dei dodici figli di Giacobbe, e Giuda il Maccabeo. Parecchi tratti di questi due grandi del popolo eletto si riflettono anche nell'apostolo Giuda; perché v'è qualche cosa di misterioso nei nomi, si potrebbe quasi pensare ch'essi in qualche modo imprimano negli uomini un idea preconcepita. Quando nacque Giuda, il figlio di Giacobbe, sua madre Lia esclamò pia e festante insieme: "Jehudâh", che vuol dire "loderò il Signore", per questo lo chiamò "Juda" (1); sebbene egli non fosse il più anziano dei figli di Giacobbe, ebbe però un posto di direzione fra i suoi fratelli, grazie al suo carattere deciso e fermo. Nella vicenda di suo fratello, l'egiziano Giuseppe, egli appare una lodevole eccezione: si oppose alle brame degli altri e propose il male minore: invece del fratricidio, la vendita del fratello ai mercanti madianiti per venti denari (2). Combinazione curiosa! Un altro Giuda, con peggiori intenzioni, richiese trenta denari in una vendita più detestabile. Il patriarca Giacobbe, morendo, designò il suo figlio Giuda quale antenato del Messia con la seguente lode e benedizione: "A te, Giuda, dicono lode i tuoi fratelli. La tua mano pesa sulla cervice dei tuoi nemici. Innanzi a te si piegano i figli di tuo padre. Un leoncello è Giuda. Chi osa stuzzicarlo? Non recederà da Giuda lo scettro, dai suoi piedi il bastone del dominatore finché venga colui, cui essa appartiene e cui i popoli obbediscono" (3). L'accenno alla potenza e al valore sembra una profezia anche per l'apostolo Giuda Taddeo, perché colgano nel centro del sua essere.

Vigoroso, figura di primo piano è anche l'altro grande Giuda del Vecchio Testamento, il terzo figlio di Matatia; egli fu chiamato il "martellatore", da Maqab (4), perché si distinse con le sue gesta eroiche, compiute nella guerra giudaica per la libertà nel secolo secondo prima di Cristo; di molto inferiore per truppe e armamento, egli riuscì a trionfare, con gloriose battaglie, sui grandi eserciti dell'empio re Antioco IV, ch'erano guidati dai generali Nicanore, Gorgia, Timoteo, Bacchide e Lisania; gli riuscì ad espugnare la città santa di Gerusalemme, superando le forze d'occupazione nemiche e pagane, e nel Tempio purificato e riconsacrato furono offerti nuovamente al Dio di Israele i sacrifici prescritti dalla Legge (5). Gli eroismi di questo Giuda sopravvivevano nel ricordo di tutti; Giuda Taddeo ascoltava con occhi scintillanti il racconto, che gliene facevano in casa il padre e il nonno; molti sabati si parlava con entusiasmo di quell'eroe della religione e della patria, che in una epoca dura aveva indicata la via col suo fulgido esempio. Il nostro Giuda quindi andava orgoglioso del suo nome, che uomini tanto valorosi avevano portato; egli lì imiterà; anch'egli vuol divenire nel proprio tempo "leoncello" e "martellatore".

Purtroppo questo nome ardito e nobile fu così infelicemente macchiato da un altro Giuda, dal Traditore, che non si riuscirà a purificarlo mai più; l'ignominioso gesto di costui è penetrato corrosivo in questo nome, è divenuto anzi con esso una unica cosa; per noi di fatto "Giuda", equivale a "traditore " e non più a "loderò il Signore", come aveva esclamato Lia, la mamma buona e cisposa. Non vi sarà individuo cristiano che porti il nome "Giuda", non si vuole anzi nemmeno ripeterlo; perché si danno nomi, che sono - anche oggi! - così esecrati, che non si possono affatto ripetere. Tutti e due i Giuda, il Taddeo e il Traditore, sedettero in qualità di Apostoli intorno al Signore, anzi nel catalogo degli Apostoli di Luca essi sono l'uno accanto all'altro. Quando il Signore chiamava "Giuda", tutti e due tendevano l'orecchio; forse era solo un leggero tono della voce che li distingueva; il Venerdì Santo, quando come un baleno s'era diffusa la notizia inaudita che Giuda aveva tradito il Maestro e poi s'era impiccato, parecchi pensarono che quel delinquente fosse Giuda Taddeo; il Traditore aveva gettato il disonore anche sul nome del buon Giuda. Quasi in riparazione di questo oltraggio, il popolo cattolico onora d'una singolare fiducia il Santo omonimo dell'infelice Traditore sin dal secolo decimottavo e con un tale sentimento umano e credente insieme, che commuove: Giuda Taddeo è divenuto per esso il protettore nelle "richieste gravi e disperate".

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L'imbarazzo di fronte al nome "Giuda", carico di colpa e di dolore, appare evidente anche nei vangeli. Giovanni scrive in un unico testo di Giuda Taddeo, ma s'affretta ad aggiungere subito: "Giuda, non Iscariote!" (6); ci colpisce ancor di più che Matteo e Marco non designano mai il nostro Apostolo col nome "Giuda", ma solamente col soprannome "Taddeo" (7); possiamo a buon diritto ritenere che essi sostituirono il nome proprio con questo soprannome per allontanare dal loro buon compagno nel Collegio apostolico l'ombra, che vi proiettava il nome "Giuda". Soltanto Luca osò chiamare quest'Apostolo col suo proprio nome, ma non senza elevare una luce sull'oscurità di esso; egli lo chiama "Judas Jacobi" Giuda, quello di Giacomo (8); l'espressione sulle prime fa pensare che Giuda fosse il figlio d'un Giacomo, e non mancano traduzioni cattoliche della Bibbia, che rendono il passo con questo senso; essa però può anche significare "Giuda, il fratello di Giacomo" (*); la Sacra Scrittura stessa accenna questo secondo senso di "fratello". Nel Vangelo infatti un Giacomo è chiamato esplicitamente fratello d'un Giuda e un Giuda, nella sua lettera, si dice fratello di Giacomo (9). Questo Giacomo, che Luca nei suoi cataloghi degli Apostoli fa che risplenda su Giuda, doveva essere una personalità conosciuta e tenuta in alta stima dai cristiani; ma non si può pensare che fosse Giacomo Maggiore, ch'era morto già da vent'anni ed è sempre ricordato come fratello di Giovanni solo e mai come fratello d'un Giuda; Giuda quindi è fratello di Giacomo Minore, del vescovo di Gerusalemme; si comprende che gli evangelisti Matteo e Marco, nei loro cataloghi degli Apostoli, collochino i due l'uno accanto all'altro immediatamente. Invece, nei riguardi di questa parentela, non è ancora risolta la questione se Giacomo fosse un fratello in senso stretto di Giuda o soltanto un fratello in senso di cugino (10). Ma comunque questo celebre Giacomo illumina il fosco nome di Giuda.

Sul nostro buon Giuda però, ch'ebbe l'infausta sorte di dover condividere il nome col Traditore, piove una luce ancor più abbondante: egli non è solo "fratello" dello stimatissimo Giacomo, ma è anche "fratello" del Signore. I Nazzareni domandano di Gesù: "Non è costui il falegname... il fratello di Giacomo... e di Giuda?" (11). Ci colpisce e ci piace ripensare che quest'Apostolo, nei giorni allegri della sua giovinezza, abbia giocato e pregato insieme col giovane Gesù, che con Lui abbia corso e girato sin lassù a Gerusalemme, in occasione delle grandi feste; è anche possibile che Maria, angosciata nella ricerca del suo Dodicenne, si sia rivolta anzitutto ai giovani cugini di Lui, Giuda e Giacomo, e abbia loro chiesto quando e dove essi erano stati insieme col suo amato Gesù per l'ultima volta. Come Giacomo, anche quest'Apostolo ebbe con Gesù rapporti umanamente molto intimi ed egli pure raggiunse un pò alla volta la debita distanza; nella sua lettera di fatto egli si chiama "fratello di Giacomo", ma con religiosa riverenza non "fratello", bensì "servo di Gesù Cristo".

(*) Questo genitivo è tanto equivoco; noi possiamo determinare in quale senso due nomi propri, legati con un genitivo, debbano intendersi soltanto ricorrendo al contesto del discorso o anche alle circostanze oggettive, che si suppongono conosciute.

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Giuda Taddeo, prima della sua vocazione, era sposato (12); anzi, secondo una notizia, che leggiamo in Niceforo Callisto e che Eusebio cita nella sua "Storia Ecclesiastica", sarebbe stato lo sposo delle nozze di Cana. Questa deposizione e certo discutibile; essa però spiegherebbe molto bene la presenza di Gesù e di sua Madre a quelle nozze; essi vollero rendere a un cugino l'alto onore della loro partecipazione. Dei due nipoti di Giuda, di nome Zoker e Giacomo, che l'imperatore Domiziano citò a Roma per sottoporli a interrogatorio, abbiamo scritto trattando di Giacomo (13); essi vivevano nella Palestina quali semplici coloni e quale reddito del loro esiguo podere denunciarono all'imperatore mille denari. Forse anche il loro nonno Giuda s'era affaticato sulle medesime zolle, che lavoravano essi; la sua lettera, come quella di suo fratello Giacomo, è lettera d'un contadino, forte, quasi rude, non delicata e profumata, con similitudini tolte dalla vita dei campi. Egli paragona i maestri di errore ai pastori, "che pascono se stessi", con "le nubi senz'acqua, che son trasportate qua e là dal vento", con "gli alberi nel tardo autunno, senza frutti, morti due volte, divelti" (14).

14 Hophan, Gli Apostoli.

Giuda contadino! Prima di spargere la semente della parola di Dio nel vasto mondo come apostolo, seminò come contadino orzo e grano nel fondo della sua terra, inciso dall'aratro. Come dovette quindi comprendere bene le parabole del Signore! Quella, per esempio, del seminatore, cui nel seminare il grano cadde parte sulla via, parte su fondo sassoso e parte fra le spine; quella della semente, che di giorno e di notte cresce da sè e l'agricoltore non sa come; e quella della zizzania, che germoglia col grano e al tempo della raccolta viene legata in fastelli per essere bruciata (15). Tutto questo il Signore l'aveva potuto osservare nei campi dei suoi cugini. In novembre, caduti i primi acquazzoni della pioggia temporanea, Giuda attaccava bue e asino per rivoltare il terreno, nel quale poi seminava orzo e grano; in febbraio badava alle viti, recideva i germogli selvatici e mondava i tralci buoni perché portassero frutto ancor più abbondante (16); alla fine di marzo sospirava ardentemente la pioggia serotina, che consentiva al grano di spigare; nella primavera, bella come un paradiso ma breve, coltivava l'orto a cocomeri, cetrioli, fagioli, lenticchie, cipolle e aglio, anice, menta e comino; sin dalla fine di maggio cominciava a trebbiare il grano e lo ventilava con grandi pale al vento della sera; terminata la messe dei cereali, seguiva la tosatura delle pecore; sul finire d'agosto si portava nel vigneto a vendemmiare; in settembre maturavano i fichi e infine le olive, l'ultimo frutto, che venivano pigiate nei torchi come i grappoli d'uva. Così ogni giorno aveva la sua fatica e la sua pena.

Giuda non se ne arricchì. I suoi nipoti Zoker e Giacomo, nell'interrogatorio subìto dinanzi a Domiziano, confessarono candidamente che i mille denari, che la loro domestica sostanza fruttava, erano esauriti per sostentare la vita e pagare le tasse. Le tasse infatti erano gravose; vi furono periodi, nei quali il contadino doveva consegnare un terzo della sua raccolta di cereali e persino metà dell'olio e del vino; Erode Antipa, al cui servizio era stato Matteo, il compagno d'apostolato di Giuda, dalla sua tetrarchia, che non era poi grande, ricavava ogni anno, come gettito delle tasse, due milioni di franchi, e cioè cinque volte tanto secondo il valore del denaro oggi. Ai Romani dovevano essere pagati la tassa fondiaria e il testatico; dieci anni prima che Gesù desse inizio alla sua vita pubblica, una legazione del Giudei si portò a Roma per sollecitare un alleggerimento delle imposte, chè il buon popolo era oppresso ab immemorabili e solo perché alcuni pochi grandi potessero crapulare e millantarsi; le sontuose costruzioni dell'ambiziosa famiglia degli Erodi ingoiavano somme, che furono pagate col sangue dei poveri. Quando il Signore scagliò contro i ricchi i suoi "Guai a voi!", il semplice Giuda dovette fargli intendere, con un significativo cenno del capo, tutto il suo consenso (16).

Nonostante però il lavoro e la povertà, Giuda visse contento e beato, chino sulle zolle della sua patria; pellegrinava, come d'obbligo, a Gerusalemme per le tre feste di Pasqua, di Pentecoste e dei Tabernacoli, ma poi se ne tornava di nuovo contento al suo villaggio in Galilea; forse era Cana, se non era la stessa Nazareth; lassù, nella Città Santa, si faceva con strepito e poi quel mercato profano... è il mondo si dilettava di teatri, di progetti per le corse, di piazze per lo sport e per tutta la sua concupiscenza degli occhi, per la concupiscenza della carne e la superbia della vita. Che Iddio non permetta mai ch'egli debba portarsi in mezzo a quel cattivo mondo! Egli vuol vivere e morire laggiù, nella sua terra e in seno alla sua famiglia; quivi fioriscono i suoi campi e la sua donna e giocano i suoi figli. E invece era ormai vicino il giorno, in cui avrebbe preso congedo dalla sua famiglia, avrebbe abbandonata la patria e avrebbe scelto in compenso l'essere senza patria, come chi vaga per le strade, e se ne sarebbe andato in tutto il mondo. Un sacrificio eroico per un contadino! E Giuda fu tanto generoso per sostenerlo; egli rispose il suo "Adsum!", quando il Signore, volendone fare un messaggero del suo regno, lo chiamò via dalla sposa e dai figli e dai campi.

Giuda, il coraggioso Torna all'inizio


Sulle prime si direbbe che la Sacra Scrittura non ci fornisce intorno al nostro Apostolo nessuna notizia; e infatti, se si eccettui una breve espressione nel vangelo di Giovanni, né gli altri Evangelisti né gli Atti degli Apostoli ci ricordano di lui più del suo nome. Ma precisamente questo nome è significativo e ricco di luce; perché Matteo e Marco aggiungono a Giuda un soprannome, ch'egli non dovette ricevere, come ad esempio Pietro e i Boanerges, solo al momento della chiamata del Signore; l'opinione pubblica, è evidente, glielo aveva accordato in precedenza. Giuda è chiamato "Taddeo" o, secondo parecchi manoscritti antichi, "Lebbeo";

ma Taddeo e Lebbeo significano in realtà la stessa cosa; Taddeo, dall'aramaico "thad" che significa petto, e Lebbeo da "leb" che significa cuore, significano l'intrepido, l'impavido, l'ardito; in certi testi del Vangelo si leggono tutti e tre i nomi: Giuda Taddeo Lebbeo, tanto che già Girolamo chiamava quest'Apostolo "trinomico", quello dai tre nomi. (18)

Questo soprannome doveva distinguere anzitutto il buon Giuda dal Giuda traditore; esso però voleva pure esprimere la natura propria di questo Apostolo, perché non senza un motivo doveva toccargli d'essere designato col nome onorifico di "Taddeo", l'audace. L'audacia, che confina con la temerarietà, era certamente una caratteristica comune ai Galilei; un filosofo romano era ammirato del loro coraggio; per difendere la loro fede sfidavano persino i tiranni; un vecchio proverbio diceva che per i Giudei il denaro la vinceva sull'onore, ma per i Galilei l'onore andava sopra il denaro. E questo proverbio getta luce sui due Giuda del Collegio apostolico, sì che ne possiamo scorgere più chiaramente la profonda differenza: Giuda il traditore, che proveniva dalla Giudea, riservato e calcolatore già per la sua origine, metteva il denaro al di sopra degli ideali; Giuda invece l'audace stimava la fedeltà e l'onore più dei denari. Tutto questo è vero; nondimeno Taddeo dovette essere di un'arditezza, che faceva stupire gli stessi Galilei, se lo chiamarono semplicemente "l'ardito"; e come tale egli è entrato anche nei cataloghi degli Apostoli.

E ch'egli fosse quale il nome lo diceva, un tipo cioè energico, coraggioso, robusto da fare onore ai suoi patroni, Giuda capostipite della tribù e Giuda Maccabeo, lo dimostra in tutti i secoli la sua lettera. Nel battistero di Ravenna si conserva un'immagine in mosaico del quinto secolo, che traduce felicemente quello, che la prima età cristiana pensava di quest'Apostolo: egli ha un volto allungato, teso, tendineo, che rivela energia e decisione. Chissà come avranno lampeggiato gli occhi di Taddeo, quando il Signore parlava a lui e ai compagni di coraggio e di forza! "Non abbiate paura di loro. Quello che Io dico nelle tenebre, voi annunziatelo nella luce! Quello ch'io vi ho sussurrato nell'orecchio, predicatelo sui tetti! Non temete coloro, che possono ben uccidere il corpo, non però l'anima! Neppure crediate che Io sia venuto a portare pace sulla terra! Non sono venuto a portare la pace, ma la spada. Chi cerca di guadagnare la sua vita, la perderà; chi invece perde la sua vita per amor mio, la guadagnerà" (19).

Basta quest'unico Apostolo, Giuda Taddeo, per rovesciare dalla base tutte le denigrazioni contro il Cristianesimo, quasi sia un affare per indoli frolle e leziose o per individui inabili alla vita e indegni di essa. Cristo chiamò a far parte della sua ridottissima compagnia un uomo, ch'era senz'altro proverbiale per il suo ardire. E Taddeo non era l'unico di questa tempra; Gesù stesso designò Giacomo e Giovanni col titolo "Boanerges", figli del tuono, e d'un Simone fece la roccia; l'altro Simone era uno Zelote; tutti poi erano uomini completi e sicuri, che offrirono e compirono cose sovrumane. Cristo esige nature forti; si noti però quello che è ancor di più: Egli può educare alla fortezza anche le nature deboli; il forte è richiesto da Cristo, il debole ne è attratto; poiché la virtù di Cristo è tanto esimia, che in essa si perfeziona il forte e il debole.

I Libri Sacri non ci forniscono nessuna spiegazione in ordine al come Taddeo abbia meritato il suo nome glorioso, quali fossero le gesta eroiche compiute, quali difficoltà sfidasse con cuore ardito, a quali tempeste e pericoli esponesse il petto e la fronte; si inclina a ritenere che egli si sia procurato il titolo "l'audace" nel "movimento di resistenza" della sua terra. Al tempo infatti di Gesù la Galilea era febbricitante per le agitazioni politiche; sopportava il giogo della brutale forza d'occupazione romana digrignando i denti; dei fanatici giudei, gli "Zeloti", i "Maquis" partigiani di quel tempo, accaniti e santamente sdegnati, cercavano di aiutarsi nell'impresa con la violenza; molestavano i Romani dove potevano e facevano le loro vendette sui rinnegati e traditori in seno al popolo proprio; valendosi di corpi volontari, conducevano una guerriglia continuata; erano in ogni luogo e in nessun luogo, e quindi difficilmente potevano venire assaliti. Simone, ch'era probabilmente un fratello di Giuda Taddeo, uno dei dodici Apostoli, porta espressamente il soprannome "lo Zelote". È permesso pensare che anche Giuda prendesse parte a quel movimento patriottico e si sia guadagnato l'appellativo "Taddeo", l'ardito, con non pochi colpi di mano audaci, che gli sarebbero costati la vita, qualora fosse stato acciuffato; anch'egli del resto porta spesso, specialmente negli autori latini, la designazione propria del partito: "lo Zelote"; è vero che può trattarsi d'uno scambio con Simone, sarebbe però uno scambio, che non manca di qualche motivo intrinseco.

Non ci sfugge certo il grande rischio corso da Gesù, chiamando nella cerchia dei suoi Dodici simili individui, che, come un Giuda Taddeo e un Simone Zelote, erano carichi di dinamite; ma Egli per l'erezione del suo regno sulla terra abbisogna anche di caratteri tali, si direbbe anzi proprio di questi, eroi arditi, santi avventurieri, che sappiano maneggiare la spada per Iddio. Taddeo e Simone avevano certamente, riguardo al futuro regno messianico, delle concezioni false, come tutti gli Apostoli e anche più degli altri loro due; per loro il Messia era l'attesissimo liberatore del popolo oppresso, il glorioso trionfatore del dominio straniero dei Romani; ma il Signore non respinse i suoi discepoli perché avevano la testa piena di queste fantasie e speranze inesatte e contaminate, procurò invece di nobilitarli; e questa tattica del Signore ci è indicata chiaramente dall'unico passo, in cui nel Vangelo si fa parola di Giuda e a Giuda. Il testo ricorre nel discorso di congedo, tenuto da Gesù nel Cenacolo la sera del Giovedì Santo; nello strazio della separazione, Egli fece dono ai suoi Discepoli anche della consolazione d'una misteriosa e permanente unità con Lui: "Non vi lascio orfani; Io vengo a voi. Ancor poco tempo e il mondo non Mi vede più; voi però Mi vedete, perché Io vivo e anche voi vivrete..." (20). Il mondo... voi! L'onda del dire del Signore mormorava ormai più
avanti, ma Giuda Taddeo restò a pensare a quelle parole e dopo alcuni versetti troncò in bocca al Maestro le preziose sentenze, proponendogli la questione che non sapeva sciogliere: "Signore, che è avvenuto che Ti manifesterai a noi e non al mondo?" (21).

È l'unica parola che ascoltiamo da Giuda Taddeo, il Vangelo non ce ne ha conservate altre; ma essa guizza dall'intimo del suo essere e illumina per un istante quest'Apostolo, quasi sconosciuto. Giuda è entusiasta di Cristo; egli desidera e vuole con passione le sue "manifestazioni"; per lui quindi è un enigma tormentoso, anzi un'amara delusione che il Signore voglia manifestarsi soltanto al ristretto gruppo dei Dodici - "solo a noi!" -, e non anche alle moltitudini - "al mondo" -. Così cinque giorni prima, la domenica delle Palme, egli aveva trovato incomprensibile e inaudito che Gesù avesse fatto sì il solenne ingresso, ma non avesse poi preso possesso della Città; precisamente lui, Giuda del Nuovo Testamento, si struggeva dal desiderio che "la sua mano pesasse sulla cervice dei nemici", come il patriarca Giacobbe aveva profetizzato di Giuda, padre della tribù, e potesse ripulire la Città Santa dal nemico pagano, come un tempo Giuda Maccabeo, per restituirla al Dio di Israele e al suo inviato. "Perché non Ti manifesti anche al mondo?". Questa domanda, dettata dall'ardore impaziente, si connetteva, e sino a fondersi in una sola, con quella richiesta che i fratelli di Gesù, scontenti, Gli avevano presentata già prima della festa dei Tabernacoli; e il nostro Giuda Taddeo era appunto uno di quelli. "Va via di qui (da quest'angolo sperduto della Galilea) e portati in Giudea, affinché anche i tuoi discepoli veggano le opere, che Tu compi. Nessuno infatti, che voglia essere riconosciuto pubblicamente, opera di nascosto. Se Tu puoi fare tali cose, mostraTi apertamente al mondo!" (22). Che quindi Gesù non voglia manifestare la sua dignità, annientare i suoi nemici ed erigere il suo regno con potenza e splendore cozza contro tutte le idee dell'audace Giuda. "Perché solo a noi? perché non al mondo?". Ecco la domanda, l'unica di Giuda Taddeo.

Il seguito del discorso di Gesù non sembra riferirsi affatto alla sua meschina obiezione, perché "Gesù gli replicò: "Se uno Mi ama, osserva la mia - parola, e mio Padre lo amerà, e verremo a lui e metteremo dimora presso di lui. Chi non Mi ama, non osserva neppure le mie parole"" (23). E nondimeno nelle profondità di questa risposta c'era la soluzione del problema, che tormentava Taddeo: Giuda, l'intrepido, chiedeva le manifestazioni della potenza e della gloria di Gesù; Gesù promette le manifestazioni del Padre e del Figlio nelle profondità delle anime; ma l'intima esperienza di Dio e l'unità con Lui è riservata esclusivamente agli amanti; il mondo quindi, che non ama, non può neppure godere di queste manifestazioni. "V'è dunque una certa rivelazione interiore di Dio, che gli empi non conoscono affatto, perché non hanno parte alla rivelazione del Padre e dello Spirito Santo. Fu loro possibile avere la rivelazione del Figlio, ma solo quella nella carne, la quale né è della natura di quella, né può rimanere sempre con loro, qualunque sia in realtà, ma solo per breve tempo e a dir vero per il giudizio e non per la gioia, per il castigo e non per il premio" (4).

Queste sublimi parole segnano la strada che lo stesso Taddeo dovrà seguire in avvenire. Egli è un apostolo intrepido; e il Signore non scorcia l'eroe, nessuno anzi meno del Signore lo mutila, invece lo eleva e nobilita; Taddeo deve restare audace e operare cose audaci; non però con colpi arditi per un regno del mondo, bensì impegnando il suo ardimento per il regno di Dio nel mondo; compito degno del suo cuore generoso non è la politica, ma l'avvento del Padre e del Figlio e della carità dello Spirito nelle anime degli uomini.

La lettera di Giuda Torna all'inizio


Fra i Libri Sacri del Nuovo Testamento troviamo una lettera, che ha per autore un Giuda e che fin dai primi tempi fu attribuita all'apostolo Giuda. E per buone ragioni. La lettera infatti è audace e forte, come solo un "Taddeo", un ardito, poteva scrivere. È un breve brano di appena 25 versetti; già Origene, lodandola, scriveva: "Giuda scrisse una lettera breve, ma ricca di parole di celeste sapienza" (35); è indirizzata "ai chiamati, che sono diletti in Dio Padre e per Gesù Cristo conservati" (26); Da essa veniamo a conoscere anche i suoi destinatari, ch'erano i giudeocristiani della Palestina e della Siria, poiché le poche righe rigurgitano di prove e di allusioni dal Vecchio Testamento e adducono anche dei libri extra-biblici, scritti per edificazione dei lettori, che erano noti ai Giudei, quali "il libro di Henok" e "L'Assunzione di Mosè". Nella lettera leggiamo pure il motivo, che indusse Giuda a scriverla: "Si sono intrusi degli individui, che da lungo tempo sono segnati per la condanna, empi, che cambiano la grazia del nostro Dio in lussuria e negano l'unico nostro dominatore e Signore Gesù Cristo" (27).

Questi maestri d'errore, che erano certamente i così detti "Nicolaiti", travisando la cristiana libertà, che affrancava dalla legge dell'Antico Testamento, richiesta da Paolo e da tutti gli Apostoli decisa, respingevano totalmente ogni legame di coscienza e predicavano che il nuovo e vero "vangelo" era il vivere sbrigliato degli istinti. Già Paolo s'era acremente avventato contro quella genia, "il dio della quale è il ventre e la gloria è l'obbrobrio" (28); anche Pietro, nella sua seconda lettera, scagliò il suo supremo anatema contro quella sfrenatezza morale, che voleva camuffare impudentemente i suoi vizi, valendosi ipocritamente del motto tanto efficace, proprio della "cristiana libertà": "Per i puri tutto è puro!". Nella sua lettera Pietro si servì molto dello scritto di Giuda; confrontando anche solo il secondo capitolo, ad esempio, con la lettera di quest'ultimo, si ha l'impressione quasi di una rielaborazione della lettera allo scopo di migliorarla e anche di mitigarla un pò. Il fatto che Pietro abbia quasi inserito semplicemente, così com'era, la lettera del collega nel proprio scritto attesta la stima che aveva di lui.
Essa dovette essere scritta fra l'anno 62, primo anno dalla morte di Giacomo Minore, e l'anno 67, epoca di composizione della seconda lettera di Pietro. Possiamo di qui dedurre che per tutto il tempo, in cui Giacomo resse la Chiesa di Palestina, questa non fu toccata da false dottrine, come del resto sappiamo da una testimonianza di Egesippo (29).

L'inizio della lettera di Giuda si può dire un nutrito squillo di tromba, che annuncia il tema: "Lottate per la fede, che una volta per tutte fu trasmessa ai Santi!" (30).L'intera lettera poi è un severissimo monito contro i maestri dell'eresia, cui vengono comminati i giudizi di Dio con riferimento a esempi dell'Antico Testamento. Impressiona la lingua usata; è realmente ardita, energica, cruda quasi, richiama il grido infuocato e irato dei Profeti dell'Antico Patto: "Questi sognatori (gli eretici) contaminano la carne, disprezzano l'autorità e bestemmiano gli insigniti della maestà... Bestemmiano tutto quello che non comprendono; ma trovano la loro rovina in tutto quello, che, come animali irragionevoli - Giuda, il contadino! -, intendono per naturale istinto. Guai a loro! Son macchie d'ignominia, che nelle vostre agapi gozzovigliano impudici e ingrassano se stessi; furiosi flutti marini, che spumano la loro turpitudine; stelle erranti, cui è riservata in eterno l'oscurità delle tenebre; mormoratori che lamentano la loro sorte e in aggiunta però soddisfano le loro passioni" (3).

Questa lingua ci rivela il nostro "Taddeo", l'audace; non è un uomo senile, un tipo avveduto sette volte, un cappellano di corte; pesta anche sul gregge del Signore col suo pesante passo di contadino e mette le cose a posto. Non gli interessa di essere amato od onorato, ma "mi sta molto a cuore di scrivere a voi intorno alla comune nostra salvezza" (32); dove questa salvezza è in pericolo, egli mette la sua mano energica, taglia sui vivo imperterrito, predica senza paura e senza timidi riguardi quello che lo Spirito di Dio gli comanda, riesca opportuno o importuno. Ma appunto in questo procedere appare pure che l'arditezza dell'apostolo Giuda è un'altra, è spiritualizzata: l'insegnamento del Signore nel Cenacolo aveva fruttato.

Egli non si accinge a scrivere la sua lettera, stimolato da un bisogno naturale di lottare e di litigare; essa non è un'esplosione di temperamento violento; nell'introduzione vi leggiamo persino una scusa: "Mi vedo necessitato ad ammonirvi con uno scritto" (33); non gli sta a cuore la lotta, ma "la comune salvezza", per assicurare la quale non paventa certo neppure la lotta. Dopo aver respinto i maestri della falsità con espressioni pungenti e decisive, aggiunge i suoi mirabili avvisi sul modo di condursi praticamente con loro, perché anche la loro salvezza sta a cuore al nostro ardito. "Mettete sulla buona via quelli, che ancora vacillano! Altri salvate, strappandoli dal fuoco; dei terzi abbiate compassione con... timore! Guardatevi però persino dalla veste, che sia macchiata di carne! " (34). La lettera di Giuda, tanto vecchia per il nostro tempo, ha nondimeno una particolare importanza, perché il culto della carne è stato nuovamente eretto a sistema di falsa dottrina; essa potrebbe servire di spunto scritturistico per molte prediche contro gli abusi morali dell'epoca nostra.

La finale della lettera sembra volerci trasportare d'improvviso dalla severa predica, potremmo dire, "da spiaggia balneare" in un coro di monaci benedettini, ove si eleva solenne il canto del "Gloria Patri". La meravigliosa dossologia finale è l'eco riconoscente delle parole, che il Signore un giorno aveva detto nel Cenacolo al suo audace apostolo Giuda circa la venuta del Padre e del Figlio nell'anima di chi è in grazia: "A Lui, che può preservarvi dalla caduta e presentarvi senza macchia e ripieni d'esultanza dinanzi alla sua gloria, a Lui, all'unico Iddio, nostro Salvatore, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, sia onore e gloria, dominio e potenza innanzi a tutti i tempi e adesso e per tutta l'eternità! Amen".

Giuda, l'Apostolo Torna all'inizio


L'attività apostolica di Giuda Taddeo è velata dall'oscurità, come quella della maggior parte degli Apostoli, le notizie anzi intorno alla sua sono tanto più confuse in quanto i suoi tre nomi hanno dato occasione a molti scambi; le più sicure sono ancora le conclusioni, che possiamo dedurre dalla sua stessa lettera. Così come a campo principale della sua missione siamo rinviati alla Palestina; quivi i due fratelli e contadini Giacomo Minore e Giuda Taddeo, con la fatica e nel sudore della fronte, riposero nei granai di Cristo la messe raccolta fra il loro popolo, prima che, come temporale ormai imminente, lo raggiungesse la minacciosa catastrofe della rovina. S'accorda con la nostra supposizione una notizia fornitaci da Niceforo, secondo la quale l'apostolo Giuda Taddeo sarebbe stato missionario della Giudea, Galilea, Samaria e Idumea. Anche della Galilea! Ivi viveva la sua buona sposa, ormai attempata, vivevano i suoi figli, intenti alla coltivazione dei campi, che un giorno appartenevano a lui, vivevano pure i suoi nipoti Zoker e il piccolo Giacomo, i quali, quando il nonno stanco e polveroso ritornava dai suoi giri apostolici per far loro qualche rara visita, si stringevano a lui dintorno e lo accarezzavano; il giorno seguente s'allontanava di nuovo da quella amata tranquillità della patria per portarsi in terre lontane, urgendolo l'amore di Cristo: il sacrificio dell'Apostolo!

Secondo le informazioni, che ci forniscono degli autori siriaci, l'attività apostolica di Giuda Taddeo resterebbe trasferita a Edessa, l'odierna Urfa nella Turchia orientale; infatti in un Innario armeno - l'anno 90 prima di Cristo il grande regno degli Armeni si estendeva ancora giù fino a Edessa - del secolo decimoterzo gli apostoli Giuda Taddeo e Bartolomeo sono chiamati "i nostri primi illuminatori". Un documento ufficiale assai strano dell'archivio di Edessa, che Eusebio cita nella sua "Storia Ecclesiastica" (36), presenta uno scambio di lettere fra Cristo e il principe Abgar V di Edessa: Abgar prega il Signore di recarsi da lui in Edessa per guarirlo dalla sua malattia; Cristo risponde che dal Padre non ha ricevuto la missione che per Israele, ma dopo la sua ascensione manderà a Edessa uno dei suoi discepoli; più tardi dunque, secondo quanto riferisce Eusebio, l'apostolo Tommaso avrebbe inviato ad Abgar uno dei 72 discepoli, di nome Taddeo, chiamato anche Addeo; a questo punto la "Dottrina di Addeo", uno sviluppo dell'antica leggenda risalente all'anno 400 circa, inserisce pure la notizia che il messo inviato ad Abgar dipinse l'immagine di Cristo. Evidente che la lettera non è autentica; anche Eusebio ha qui confuso l'apostolo Taddeo, uno dei Dodici, con Addeo, uno dei 72 discepoli, il fondatore della chiesa di Edessa.

Maggiore probabilità ha un'altra leggenda, secondo la quale Giuda Taddeo, dopo l'attività svolta presso i suoi compatrioti, sì sarebbe portato nelle regioni limitrofe della Palestina, nell'Arabia, Siria e Mesopotamia; avrebbe sofferto la morte del martire a Berytus (Beirut) o ad Aradus in Fenicia, mentre invece la maggior parte degli autori greci affermano che Taddeo morì di morte naturale. Uno scritto del principio forse del quarto secolo, attribuito a Craton, un preteso alunno degli Apostoli, risultante di dieci libri, fa che Taddeo s'incontri col fratello suo Simone in Persia, insieme al quale evangelizza quel regno potente; nonostante la continua ostilità dei due maghi Zaroes e Arfaxat, i successi dei due Apostoli furono incredibili (*); nel giro di quindici mesi battezzarono in Babilonia 6o.ooo uomini, senza contare le donne e i fanciulli, e in tredici anni percorsero le dodici provincie del impero persiano.

(*) Perché si abbia un esempio della smania del miracoloso, che pervade tutte queste leggende, aggiungiamo il tratto seguente: "I maghi, per vendicarsi, fecero capitare una moltitudine di serpenti; il re atterrito fa chiamare gli Apostoli; questi si presentano, raccolgono i serpenti nei loro mantelli, li aizzano contro i maghi, ingiungendo però loro di non ucciderli, bensì di far loro gustare i morsi dolorosi; i maghi straziati urlano come lupi, ma non muoiono; soffrono nuovi tormenti quando i serpenti, dietro ordine degli Apostoli, succhiano nuovamente il loro veleno e alla fine li mordono un'altra volta". Ancora un esempio: "A Babilonia due tigri feroci, fuggite dalle loro gabbie, dilaniavano tutto quello, che incontravano per la via; il popolo corse a rifugiarsi presso gli Apostoli; i quali scongiurarono le bestie, e queste li seguirono obbedienti all'abitazione; da quel giorno in poi, in testimonianza della verità del Vangelo, le tigri si aggiravano fra la gente come agnelli e tutte le sere tornavano alla loro gabbia".

Giunti nella città di Suanir, i due Apostoli furono richiesti di sacrificare nel tempio del sole al sole e alla luna, ma essi risposero che il sole e la luna erano solamente creature di quel grande Iddio, che essi annunziavano; cacciarono dagli idoli i demoni, che vi soggiornavano, e fra ululati e orrende bestemmie se ne scapparono due figure nere e terrificanti; allora i sacerdoti e il popolo si precipitarono sui due Apostoli; Giuda disse a Simone: "Vedo il mio Signore Gesù Cristo, che ci chiama"; furono uccisi da una grandine di sassi e a colpi di mazza, e per questo l'arte mette in mano all'apostolo Giuda una pesante mazza. Il re Serse avrebbe fatto trasportare i corpi dei santi Apostoli nella sua città residenziale, dove avrebbe edificato una splendida chiesa marmorea in forma di ottagono e avrebbe composte le salme in una stanza rivestita di lamine d'oro, entro a un sarcofago d'argento; la costruzione sarebbe stata ultimata e consacrata dopo tre anni, il primo giorno di luglio, nel giorno cioè della morte degli Apostoli.
Tutto questo lo troviamo nella leggenda latina, che si richiama all'antico scritto di Craton ed è penetrata, nelle sue linee essenziali, come lezione nel Breviario romano per il giorno della festa in onore dei due Apostoli. Nella Chiesa occidentale essi vengono festeggiati nel medesimo giorno, come Filippo e Giacomo, come Pietro e Paolo, da tempo antichissimo; il motivo vero, oggettivo della loro festa in comune può essere la parentela di Simone e Giuda, accennata dal Vangelo, e la loro attività e morte insieme, affermata dalla leggenda. Come giorno per la festa è stato scelto il 28 ottobre, giorno del tardo autunno, che ci richiama, e richiamandolo ci ammonisce, il grave testo della lettera di Giuda, che dice "degli alberi spogli nel tardo autunno" e "delle nubi, che il vento caccia qua e là ".
La conclusione della vita degli Apostoli lascia quasi sempre un pò insoddisfatti, perché sul loro conto, come per un padre che se ne va, desidereremmo avere notizie più sicure e più precise. Iddio solo sa quante altre e grandi cose avrà compiute anche Giuda Taddeo, l'audace avventuriero di Cristo! Ma le sue gesta pure stanno dinanzi al Signore e non sono manifeste al mondo. Si spiega forse così che il nascondimento apostolico sia tanto importante? Dopo la parola, che il Signore rivolse a Giuda Taddeo di "non manifestarsi al mondo", ma di scorgere l'essenziale nel fatto che il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo "prendono dimora presso di noi", quel nascondimento ci è di monito e conforto insieme.

Documentazione Torna all'inizio

(1) Gen. 29, 35.
(2) Gan. 37, 26 ss.
(3) Gen. 49, 8 ss.
(4) I Mac. 2, 4.
(5) I Mac. 4, 36-61; 2 Mac. 10, 1-8.
(6) Giov. 14, 22.
(7) Mt. 10, 3; Mc.3, 18.
(8) Lc. 6, 16.
(9) Mt. 13, 55; Mc. 6, 3; Giuda I.
(10) Mc. 3, 18; Mt. 10, 3.
(11) Mc. 6, 3.
(12) Eusebio, Storia Eccl. III, 20 (MG. 20, 251 s.).
(13) Cfr. pg. 186.
(14) Giuda 12.
(15) Mt. 13; Mc. 4, 26 ss.
(16) Giov. 15, 2.
(17) Lc. 6, 24.
(18) In Ev. Matt. Comm. 1, 10 (ML 26, 63).
(19) Mt. 10, 26 ss.
(20) Giov. 14, 18 ss.
(21) Giov. 14, 22.
(22) Giov. 7, 3 s.
(23) Giov. 14, 23 s.
(24) S. Agostino, In Jo. Ev. Tract. 76, 2 (ML 35, 1831).
(25) In Matt. 10, 17 (MG 13, 877 s.).
(26) Giuda 1.
(27) Giuda 4.
(28) Fil 3, 19.
(29) Eusebio, Storia Eccl. IV, 22 (MG 20, 379 s.).
(30) Giuda 3.
(31) Giuda 10-16.
(32) Giuda 3.
(33) Giuda 3.
(34) Giuda 22 s.
(35) Giuda 24 s.
(36) Storia Eccl. I, 13 (MG 20, 119 ss.).


Ulteriori approfondimenti sulla vita di San Giuda Taddeo

 


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